Rojava: silenzio, si gira

Cosa avranno fatto le YPJ per convincere una come Hillary Clinton a mostrare interesse per produrre una serie TV?
Di Antonio Torres – La Comuna – 1 marzo 2021

Nella foto, campagna contro il popolo ed il governo siriano nel pieno dell’aggressione imperialista:
http://comitesolidaritatrojavabcn.blogspot.com/2015/09/accio-de-resposta-contra-la-propaganda.html

“La questione curda è diventata la grande scommessa culturale e propagandistica degli Stati Uniti per poter mantenere la propria ingerenza negli affari dello Stato siriano e più in generale nella regione dell’Asia occidentale”

“L’occupazione militare statunitense utilizza l’Amministrazione Autonoma della Siria Nordorientale (AANES) e le FDS per saccheggiare petrolio e gas siriani”

“In Siria si lavora per la parità tra uomini e donne sin dalla sua indipendenza, ma soprattutto dall’arrivo al potere del Partito Baath”

Quando Diamantino García, il sacerdote del proletariato delle campagne andaluse, fu insignito della medaglia d’argento dalla Giunta dell’Andalusia nel 1993, disse con onestà e sarcasmo: “Cosa sto facendo di sbagliato se gli stessi che ordinarono il mio arresto e che provocano le ingiustizie contro le quali lotto, ora mi danno una medaglia?”.

Qualcosa di simile deve aver provato il socialdemocratico tedesco August Bebel, quando uno dei suoi discorsi fu applaudito dalla destra più reazionaria: “Che cosa hai fatto vecchio imbecille, per farti applaudire da questi mascalzoni?”.

Potremmo porci la stessa domanda di fronte all’annuncio dell’ex Segretario di Stato Hillary Clinton e da sua figlia Chelsea, che produrrà una serie televisiva intitolata “The Daughters of Kobani: A Story of Rebellion, Courage, and Justice” [1].

La società di produzione della Clinton, Hidden Light Productions, ha acquistato i diritti del libro della giornalista statunitense Gayle Tzemach Lemmon su cui sarà basata la serie televisiva.

Il libro racconta la lotta della milizia femminile curda, YPJ (Yekîneyên Parastina Jin, Unità di Protezione delle Donne), durante la battaglia di Kobane (Ayn al Arab) avvenuta tra l’estate del 2014 e la primavera del 2015, che ha contrapposto lo Stato Islamico (ISIS) contro le forze combinate di milizie curde e gruppi denominati “ribelli”.

Gayle Tzemach Lemmon ritiene che la vittoria di Kobane abbia introdotto la parità di genere in Medio Oriente, mentre per Hillary Clinton: “È una storia straordinaria di donne coraggiose e con sguardo di sfida che hanno combattuto per la giustizia e l’uguaglianza”.

Probabilmente, seguendo le orme di Obama, i Clinton firmeranno un contratto con Netflix.

Quindi tornando al sacerdote Diamantino e al vecchio Bebel, ci si potrebbe chiedere che cosa abbiano fatto, non solo l’YPJ ma in generale anche la loro controparte maschile, l’YPG ribattezzata FDS (Forze Democratiche Siriane), affinché una come Hillary Clinton sia così interessata a loro tanto da produrre una serie TV.

In qualità di Segretario di Stato dell’ex presidente Obama è stata pienamente coinvolta nell’aggressione contro Libia e Siria nel 2011; le sue dichiarazioni dopo il vile assassinio di Muammar Gheddafi (“Venimmo, vedemmo, lui morì”) indicano non solo il suo entusiasmo per omicidi particolarmente brutali, ma anche un suprematismo militarista, razzista e imperialista privo di scrupoli.

Sebbene il suo ruolo e in generale quello degli Stati Uniti nella creazione del cosiddetto Stato Islamico non sia del tutto chiaro, la verità è che i diversi gruppi islamisti fanatici in Siria, inclusa Al Qaeda nelle sue diverse denominazioni durante questi anni (da Jahbat al Nusra a Hayat Tahrir Al Sham), in alcuni casi hanno trovato durante il suo mandato un sostegno indiretto, in altri invece diretto, chiaro e preciso.

In quanto al suo strenuo sforzo per apparire come una paladina dei diritti delle donne, Nancy Fraser ritiene che “Clinton rappresenti un tipo di femminismo neoliberale incentrato sulla rottura del soffitto di cristallo. Ciò significa rimuovere gli ostacoli che impediscono a donne privilegiate e ben istruite di fare la scalata a importanti posizioni nei governi e nelle imprese. Le principali beneficiarie di questo femminismo sono per lo più donne privilegiate la cui possibilità di promozione dipende comunque in gran parte dall’enorme gruppo di coloro che si occupano dei servizi domestici e della cura della famiglia, un gruppo anch’esso altamente femminilizzato oltre che scarsamente retribuito, molto precario e su base razziale. Allo stesso tempo Hillary Clinton, come del resto suo marito, è implicata nella deregolamentazione finanziaria di Wall Street così come sostiene attivamente la liberalizzazione dell’economia” [2].

È passato più di un secolo da quando Lenin pubblicò la sua magistrale analisi dell’imperialismo come la fase suprema del capitalismo.

Da allora ci sono stati molti tentativi di demolire e ridurre in cenere la teoria leninista sull’imperialismo da parte di correnti apparentemente progressiste. Quei tentativi ebbero esiti effimeri supportati da altalenanti tendenze intellettuali: qualcuno ricorda oggi ed è in grado di rivendicare l ‘“Impero” di Negri e Hardt?

Tuttavia sottolineare oggi la forza della teoria leninista sull’imperialismo, non significa in alcun modo che non ci sia un bisogno costante di aggiornarla o segnalare nuovi fenomeni da incorporarvi. Ad esempio Lenin non ha potuto decifrare i diversi sviluppi nella sfera politica e soprattutto culturale di questa nuova e superiore fase del capitalismo.

Dalla fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda, ma soprattutto con l’implosione dell’URSS e delle democrazie popolari europee, gli Stati Uniti hanno sviluppato una potente industria culturale di portata globale con l’intento di creare un senso comune, un consenso ed una legittimità.

In questo contesto di pandemia e di ascesa delle piattaforme digitali, Netflix si è distinta nella produzione e diffusione di prodotti culturali che cercano di tracciare i contorni di un potere imperialista nordamericano apparentemente impegnato per i diritti umani e la democrazia, con una particolare determinazione di quel settore dell’establishment nordamericano, diverso da quello che ha sostenuto l’ex presidente Donald Trump, che cerca di nascondere il razzismo e la discriminazione cooptando le persone da quei gruppi oppressi e garantendo loro determinati livelli di potere.

Così all’interno della guerra di aggressione contro la Repubblica Araba Siriana, la questione curda è diventata la grande scommessa culturale e propagandistica degli Stati Uniti, per poter mantenere la propria ingerenza negli affari dello Stato siriano e più in generale nella Regione dell’Asia occidentale.

Quella che potremmo chiamare la “scommessa curda”, in questa guerra fornisce all’imperialismo statunitense la possibilità di sostenere una fazione in conformità con i presunti valori di difesa dei diritti umani e della democrazia che proclamano di difendere.

Oggi nel 2021 ed a 10 anni dall’inizio della guerra, gli Stati Uniti difficilmente possono continuare a scommettere su alcuni “ribelli moderati”, i quali in realtà non sono mai esistiti, perché con eccezioni sono già un “prodotto” difficile da vendere in Occidente secondo la particolare visione capitalista dei diritti umani e della democrazia.

Tuttavia l’impegno per le FDS adempie a tale funzione: l’eccedenza di immagini di donne combattenti, la preoccupazione per l’ambiente o il presunto sviluppo e l’estensione delle cooperative andrebbero in quella direzione, ovvero fornire un’immagine da vendere all’Occidente, creando un riflesso distorto di una realtà sociale e culturale complessa e disomogenea della popolazione curda nel nord e nord-est della Siria.

Questo immaginario propagandato logicamente contrasterebbe con quello della Repubblica Araba Siriana, del partito Baath e del Presidente Bashar al Assad, visti come una fossilizzazione o meglio come una protuberanza della Guerra Fredda in cui si condenserebbero l'”autoritarismo” sovietico e quello proprio del socialismo panarabo, il quale deve essere estirpato per il bene della democrazia e dei diritti umani: “imperialismo umanitario”, come lo definì Jean Bricmont.

Il punto è che questo prodotto arriverebbe non solo a distorcere una realtà così eccessivamente idealizzata e romanticizzata da essersi attorcigliata e ripiegata su se stessa, ma anche la realtà dell’occupazione nordamericana sul territorio sovrano siriano con basi militari situate nel nord-est, vale a dire nella zona di petrolio e gas della Siria. Questa occupazione militare statunitense utilizza l’Amministrazione Autonoma della Siria Nordorientale (AANES) e l’FDS per saccheggiare il petrolio e il gas siriano e trasferendoli attraverso il Kurdistan iracheno, controllato dal clan Barzani, verso Israele e Turchia.

Sì proprio la stessa Turchia che ha massacrato la popolazione curda, sistematicamente negato i suoi diritti politici o culturali; la stessa Turchia che ha rinchiuso a vita lo storico leader del PKK Abdullah Öcalan.

Riassumendo stiamo parlando di una potenza militare straniera, la cui presenza è illegale secondo il diritto internazionale, che avvalendosi di milizie e di una struttura politica conduce una rapina coloniale sulle risorse che non le appartengono. Per il governatore di Hassakah, Ghassan Halim Khalil, le FDS trasferirebbero (rubando) la quantità giornaliera di 140 mila barili di petrolio [3].

Nel caso di Israele il tramite sarebbe l’imprenditore israelo-statunitense Mordechai Kahana, attivo in operazioni “umanitarie” attraverso la ONG Amaliah sin dall’inizio della guerra di aggressione contro la Siria, coinvolgendo autorità sia turche che israeliane [4].

L’azienda che sfrutta queste risorse è la North American Delta Crescent, creata ad hoc per questo scopo.

Sebbene gli Stati Uniti non percepiscano realmente un grande vantaggio economico dal commercio di petrolio siriano, si tratta di impedire alla Repubblica Araba Siriana di accedere alle proprie risorse, come dichiarato dal comando nordamericano nell’area al giornalista Kenneth R. Rosen, facendo sì che lo Stato siriano non sia in grado di fornire i propri servizi alla popolazione [5].

In breve si tratta di boicottare la ricostruzione della Repubblica Araba Siriana che, non dimentichiamolo, sta subendo le dure conseguenze del “Caesar Act” con cui si impedisce, tra le altre cose, l’accesso dei medicinali allo Stato siriano nel mezzo di una pandemia.

Allo stesso modo e ormai da diverso tempo, sono troppi gli abusi da parte della FDS e delle autorità autonome nei confronti della popolazione, soprattutto nei confronti delle comunità arabe e siriache: i recenti blocchi a Qamishli e Hasakah che hanno impedito la vendita e il consumo di prodotti di base come il pane, insieme a rapimenti e reclutamenti forzati, attacchi al diritto all’istruzione mediante la repressione degli insegnanti che non accettano i programmi scolastici imposti, la curdificazione di aree in cui i curdi non sono maggioranza o sono una maggioranza relativa, eccetera.

Inoltre molti degli aspetti che vengono presentati come novità nella cosiddetta “rivoluzione” del Rojava progredivano già da decenni nella Repubblica Araba Siriana, lontano dai riflettori e dall’interesse dell’establishment nordamericano. Anzi, lasciando da parte ogni tentazione di idealizzazione e romanticismo, la Siria ha lavorato sulla parità tra uomini e donne sin dalla sua indipendenza, ma soprattutto dall’arrivo al potere del Partito Baath, nonostante un contesto complesso e non idilliaco dovuto all’influenza delle organizzazioni tribali in determinate zone rurali, con il conseguente fardello patriarcale; contesto dal quale la popolazione curda in Siria non sfugge, nonostante quanto si voglia far credere in Occidente.

Nel frattempo sono molte le donne siriane che hanno svolto un ruolo di primo piano nella lotta al terrorismo islamista fanatico, combattendolo e dando tutto sul campo di battaglia, lontano dall’interesse delle grandi società di produzione e delle piattaforme di intrattenimento digitale; come l’inestimabile esempio della martire Lina Ibrahim, poetessa e scrittrice, combattente delle Forze di Difesa Nazionale della Repubblica Araba Siriana, deceduta nel gennaio 2019 dopo essere stata gravemente ferita in combattimento.

Perché le storie di alcune donne combattenti contano più di altre? Silenzio, si gira.

Traduzione a cura del Comitato Contro La Guerra Milano

Fonte: https://www.revistalacomuna.com/geopolitica-y-antiimperialismo/rojava-silencio-se-rueda/

Note: 

1. https://elpais.com/television/2021-01-27/hillary-clinton-producira-una-serie-sobre-las-milicias-kurdas.html

2. https://ctxt.es/es/20160420/Politica/5507/Nancy-Fraser-feminismo-Hillary-Clinton-Bernie-Sanders-reconocimiento-Hegel-redistribucion-representacion.htm

3. https://syrianobserver.com/news/64038/us-backed-militants-steal-140000-barrels-per-day-of-syrian-oil-in-hassakeh.html

4. https://www.middleeastmonitor.com/20190717-israel-businessman-working-with-army-has-his-eye-on-syria-oil/

5. https://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/who-benefits-us-oil-deal-northeast-syria